Dimmi come stai e ti dirò cosa leggere – vol. 4

Torna la rubrica “Dimmi come stai e ti dirò cosa leggere”, con consigli di lettura prêt-à-porter (con tanto di voti) e recensioni “telegrafiche”.

Partiamo con Hanif Kureishi e il suo Il declino dell’Occidente“, edito da Bompiani.

Se ti piacciono i racconti, qui ne troverai otto. Feroci e privi di orpelli, pronti a sgretolare le nostre inossidabili certezze occidentali.
VOTO: 7.5

  • Consigli per gli acquisti e per regali di un certo spessore: il capolavoro di Kureishi è sicuramenteIl Budda delle periferie. Immenso.

… E ARRIVIAMO A ESHKOL NEVO E IL SUO “LE VIE DELL’EDEN”, edito da Neri Pozza

Partendo dal presupposto che qualunque cosa scriva Nevo è meravigliosa (sì, non ne sbaglia una e vi sfido a trovare un’opera al di sotto delle aspettative), se vi piacciono le storie intrecciate (simili, per intenderci, alla struttura di “Tre Piani”), questo romanzo fa per voi. Amore, senso di colpa, perdono, confessioni sono indagati magistralmente dall’autore israeliano.
VOTO: 8.5

  • Consigli per gli acquisti: ho amato praticamente tutto ciò che ho letto di Nevo ma tra i preferiti c’è sicuramente “L’ultima intervista“. Solo un aggettivo: pazzesco!

Le ragioni del dubbio

(…) il dubbio ci serve, il dubbio è fecondo. Senza il dubbio non c’è avanzamento della conoscenza.

p. 19

E voi mi direte: abbastanza scontato. E io vi risponderei: ma lo è poi davvero?

Viviamo in un mondo in cui la velocità è il Sacro Graal. Quante volte sentiamo espressioni come: “È bravissimo e hai notato? Ha sempre la battuta pronta!”, oppure “È sempre sicuro di sé”.

Come se dubitare fosse associato, in qualche maniera, all’essere debole, fragile, insicuro.

Come giustamente sottolinea Vera Gheno nel suo “Le ragioni del dubbio”, edito da Einaudi,

Dubitare, sì, ma in maniera sana, non patologica.

p. 21

E così, in un viaggio che parte dalla magnifica Lode al dubbio di Bertelt Brecht, l’autrice ci porta a riflettere sull’arma più potente che esista: il linguaggio. E per estensione: la comunicazione. Un viaggio, ve lo dico subito, che non ha nulla a che vedere con la lezioncina che ci si potrebbe aspettare dalla lettura di un saggio di un linguista, anzi di un sociolinguista. Vera Gheno scrive in modo attuale, chiarissimo e divertente! E ricorda con estrema semplicità quanto sia interessante andare all’origine delle parole che utilizziamo nella quotidianità e scoprirne l’etimologia. Certo, tutto questo è possibile a patto che ci si ponga il dubbio, che si metta in discussione la propria conoscenza. Al contrario,

La mancanza di elasticità porta a un istintivo misoneismo, ossia odio per tutto ciò che è nuovo, inedito, visto come qualcosa che mette in crisi lo status quo. Più in generale, chi è rigido è xenofobo, che etimologicamente non vuol dire razzista ma «che ha in odio tutto ciò che è straniero, alieno».

p. 22

Ho trovato poi incredibilmente onesto il paragrafo sull’odio dei giusti, di cui vi leggo un breve stralcio:

p. 46

Mi ha fatto sorridere e riflettere su quanto su quanto spesso capiti di confrontarsi con persone che si sentono così “giuste” ma anche quanto spesso ci capiti di ritrovarci a essere proprio noi quei giusti che si sentono in diritto di odiare. D’ora in poi, ci farò caso e proverò a non esserlo mai.

Sì, perché, come scrive la Gheno, dovremmo evitare con tutte le nostre forze quell’odio che ormai è il petrolio della comunicazione: il petrodio. E per averne un’idea è sufficiente apriare la home di uno qualsiasi dei nostri social, infestati dai cosiddetti hateholder, gli stakeholder dell’odio (termine coniato da Nicola Colotti, conduttore all’Rsi).

E il viaggio prosegue, tra inviti a scansare quel fenomeno figlio della mancanza di dubbi che è il “quindismo”,

l’uso del quindi per creare collegamenti impropri

p. 40

E riferimenti alla naturale evoluzione della lingua, confermata da esperimenti che possiamo facilmente ritrovare nel genere musicale della trap (chi l’avrebbe mai detto?), fino al dibattuto uso dello “schwa”. Il tutto, passando per la mia parte preferita: il suggerimento, durante un dibattito o un confronto, a rifarsi all’arte giapponese dell’aikido, anziché concentrarci solo sull’asfaltare il “nemico”.

Traslato nella comunicazione, praticare l’aikido, significa non replicare a offesa con offesa, ma ignorarla elegantemente e, ove possibile, concentrarsi sull’essenza della polemica; spesso, agendo così, si assiste a un piccolo miracolo: l’urlatore o l’urlatrice continua per un po’ a lanciare improperi, ma in maniera sempre meno convinta, per l’insoddisfazione di fronte alla parte avversa che non raccoglie il guanto di sfida.

p. 148

Lo so, è un suggerimento molto zen, difficile da mettere in praticare, specialmente per chi, come la sottoscritta, ha un carattere tendenzialmente…Diciamo fumantino, dai. Però, ho riconosciuto le potenzialità (enormi) dell’applicazione di questo suggerimento. Il ché mi porta a citare un altro tema molto interessante trattato nel testo e cioè: il silenzio. Da molti interpretato come assenza di comunicazione. Ma pensiamoci: quanti significati ha il silenzio? Pensate solo a quanti sottointesi ci sono nelle famose “pause” degli attori, nelle sospensioni dei ballerini, nei respiri…

Molti si dicono spaventati dal silenzio, si agitano nelle situazioni in cui vi regna. Eppure, alla base del dialogo c’è l’ascolto: ma come facciamo ad ascoltare se non facciamo silenzio, se non ci prendiamo il tempo necessario per capire cosa ci sta dicendo il nostro interlocutore?

Il silenzio, insomma, crea lo spazio necessario per l’ascolto: essenziale per comprendere non solo le parole del prossimo, ma anche il prossimo, dato che in quelle parole c’è una parte del suo essere, del suo mondo valoriale e anche dei suoi desideri e delle sue aspirazioni.

p. 159

Leggere questo saggio non è soltanto divertente per chi è affascinato dal sociolinguismo. Credo sia soprattutto un manuale concreto per capire come comunicare meglio in un mondo in cui tutto è comunicazione.

Consigliatissimo.

Alla prossima puntata, amici lettori!

Tomás Nevinson

Va bene, sì. È tutto vero. Tomás Nevinson, l’ultimo romanzo di Javier Marías, edito da Einaudi, è un capolavoro.

Circa 600 pagine di “Oddio, come andrà a finire? Lo farà davvero?”.

p. 363-364

Dopo il bellissimo Berta Isla – di cui vi avevo parlato nel lontano 2019 (sono già passati tre anni, send help!) – Marías torna a parlare della spia (suo malgrado) Tomás Nevinson, il marito di Berta. Un uomo inafferrabile, tenuto lontano dalla sua famiglia per anni, a causa di un misterioso impiego nei servizi segreti.

Eppure Tomás aveva fatto ritorno a Madrid, ormai quarantenne, giurando di aver lasciato il suo incarico. Eppure. Eppure…

https://vm.tiktok.com/ZMLUHSTdd/

È la storia di una spia, sì. Ma è anche la storia di un uomo che vuole sentirsi di nuovo utile, che vuole provare a se stesso di non essere finito, di avere ancora qualche carta da giocare. Ma forse uccidere a vent’anni non è lo stesso che pensare di farlo a quaranta. Forse la fede, la lealtà cieca verso la missione da compiere, verso un ideale, una persona, un mestiere può finalmente essere messa in dubbio. Le certezze possono crollare. E come condannare un altro essere umano se non si è certi della sua colpevolezza? Ebbene, forse autoconvincendosi che si sta facendo la cosa giusta…

Quando uno si vede obbligato a fare qualcosa che non gli piace o gli ripugna, non gli rimane altra scelta che convincersi che quell’atto non sia poi così sbagliato, che non sia in fin dei conti esecrabile, e cerca di ripulirsi la coscienza con una giustificazione.

p. 508

Uno di quei romanzi in cui vorresti sottolineare tutto, ogni parola. Uno di quelli di cui vorresti saper citare interi paragrafi per quanto sono intensi e brutalmente autentici.

Un romanzo seducente, divertente e tipicamente JavierMariasiano – un termine appena coniato dalla sottoscritta – perché ha quella caratteristica folle di essere senza tempo: è soltanto e semplicemente universale.

p. 80

E così, fra sospetti, minacce, disperazione, Marías affronta il tema della Spagna dell’ETA, accostando quasi, con una destrezza superba, certe scelte compiute dai servizi segreti a quelle dei terroristi. Ci fornisce un identikit delle spie perfette, condividendo il loro mantra:

La crudeltà è contagiosa. L’odio è contagioso. La fede è contagiosa. La follia è contagiosa. La stupidità è contagiosa. Noi dobbiamo badare a non infettarci.

p. 403

… E anche i loro consigli per studiare e/o avvicinare il nemico (o il prossimo, direi):

È sempre sospetta una persona che non si concede mai la vanità né il tormento di guardarsi indietro.

p. 202

… La vanità è incommensurabile e universale, perfino negli individui più insignificanti.

p. 187

Che dire?
Fatevi un regalo: leggetelo.

A presto, amici lettori!

il serpente maiuscolo

L’effetto positivo della collera è che ti allontana dalle malinconie quotidiane, è come una parentesi di vita in un mare di guai.

p. 98

Confessione di una lettrice

Prima di raccontarvi qualcosa di più di questo giallo, devo confessarvelo: l’ho acquistato per la copertina. Lo so, non si giudica un libro dalla copertina, ce lo dicono da sempre. Ma vi prego… Guardatela. Quel dalmata è incredibile e mi ha conquistata. Sono partita un po’ prevenuta ma poi devo ammettere che mi sono sentita subito sollevata, perché “il serpente maiuscolo” è veramente uno spasso!

Di cosa stiamo parlando

1985. Francia. Una serial killer. Certo, osservandola non le daremmo due lire (forse dovrei dire due euro, perdonatemi ma sono una millennial semplice e faccio confusione). Dicevamo… Una signora sulla sessantina, un po’ in carne ma molto curata, con un bel viso che svela la donna magnifica e sensuale che era da giovane, al tempo in cui militava nella Resistenza francese. È Mathilde Perrin. Gira in auto, pedinando le sue vittime ignare, mentre sul sedile di dietro il suo dalmata, Ludo, sonnecchia placidamente. Ebbene, Mathilde non ha mai sbagliato un colpo, è precisa, metodica. Eppure qualcosa cambia improvvisamente il suo modus operandi, rendendola, di fatto, un’autentica mina vagante.

https://vm.tiktok.com/ZMLjnEo6q/

Un giallo in stile Tarantino

L’autore de “il serpente maiuscolo” edito da Mondadori è il parigino Pierre Lemaitre. È lui l’ideatore di questa storia originale, a tratti un po’ splatter, ironica e piena di suspense che tiene il lettore simpaticamente con il fiato sospeso, mentre l’ispettore Vassiliev indaga sulla scia di morti che Mathilde si lascia alle spalle. Vassiliev e la sua “testa piena di serpenti”, vuole assolutamente individuare il serpente maiuscolo: il terribile sicario che colpisce con ferocia e senza una logica apparente.

L’importanza di non sottovalutare il bersaglio

Il problema, con tipi del genere, Henri, è che spesso sottovalutano il bersaglio. Una donna anziana come me, avrà pensato di mangiarsela in un boccone. È il classico errore. Avete delle idee strane sulle donne. Soprattutto su quelle anziane. Lui ormai non potrà più riflettere sulla questione, ma tu, Henri, spero che ne farai tesoro.

p. 181

Una storia intricata e ricca di colpi di scena. Personaggi strampalati e insoliti per questo genere letterario. Una protagonista indimenticabile, i cui gesti inconsulti si seguono con curiosità e divertimento. Tutti questi elementi rendono il romanzo una piacevolissima scoperta.

Il consiglio che vi do dopo questa lettura: occhio agli “insospettabili”!

Alla prossima puntata, amici lettori!

Il ballo

Odio, rabbia, rancore, arrivismo, ipocrisia, vendetta, rivalità. Non credevo che in circa ottanta pagine si potessero racchiudere così tanti elementi. Dopo aver letto Il ballo” di Irène Némirovsky, edito da Adelphi, riesco a immaginare realmente cosa si intende per “risentimento”. Credo infatti che ci troviamo davanti a una perfetta descrizione di questo sentmento. E pensare che tutto nasce dall’organizzazione di un ballo nella Parigi degli anni Venti.

Madre-figlia: storia di un’antica rivalità

Non è un mistero che Irène Némirovsky abbia spesso fatto riferimento a questo tema (lo aveva già raccontato in una delle sue prime opere: “La nemica” e anche nel suo primo romanzo “David Golder“, di cui vi avevo parlato qui, spicca la mancanza d’amore tra genitore e figli). La rivalità madre-figlia, l’amore non corrisposto, il continuo e martellante giudizio a cui è sottoposta la quattordicenne Antoinette, protagonista de “Il ballo”, sono, in effetti, il fulcro del romanzo. E, come spesso accade, è proprio dall’esasperazione e dalla frustrazione che si scatena un terribile effetto a catena che porterà alla disperazione dei genitori.

La brama di essere ciò che non si è

Se qualcuno non viene, lo inviterai di nuovo la prossima volta, e poi ancora la volta dopo… Sai che ti dico? In fondo, per farsi strada bisogna solo seguire alla lettera la morale del Vangelo…
Cosa?
Se ti danno uno schiaffo, porgi l’altra guancia… Il bel mondo è la migliore scuola di umiltà cristiana.

p. 23

Incredibile la maestria con cui l’autrice descrive i genitori di Antoinette, i Signori Kampf. L’emblema degli arricchiti, di quelli che inseguono la “gente che conta”, che vivono nell’ansia di sbandierare tutti gli acquisti e i viaggi e gli investimenti che hanno fatto, tutti i nobili che hanno incontrato e con cui avrebbero instaurato fantomatici rapporti di solida (solidissima!) amicizia. Certo, alla fine, scappa sempre un sorriso. A proposito di umiltà cristiana…

Adolescenza: non ci sono istruzioni per l’uso

Ancora un’ora perduta, sprofondata nel nulla, che è scorsa fra le dita come acqua e che non tornerà mai più…

p. 46

Crescendo, tendiamo a dimenticare quei piccoli drammi che ci sembravano insormontabili da adolescenti. Tutte le lacrime versate per chissà quale evento a cui non ci era permesso partecipare perché “sei troppo piccolo/a”, o perché “non è opportuno”. Tutta la delusione, persino la depressione provata perché non eravamo al centro dell’attenzione di qualcuno che ci piaceva, in famiglia o fuori. O l’ansia di essere finalmente adulti “per poter fare tutto quello che voglio”. Poi vabbè, presto scopriamo che non è esattamente così, ma questa è un’altra storia.

Eppure, anche avvicinandoci in età adulta a questo piccolo classico di Irène Némirovsky, è difficile non solidarizzare con Antoinette, e lo è persino condannare del tutto il suo scatto d’ira, la sua vendetta non premeditata. La seguiamo con occhio complice, quasi benevolo, come a dire “ti capisco”.

p. 81

Aggiungo, infine, che le ultime pagine del romanzo sono di una crudeltà così perfetta da far rabbrividire. Voltando l’ultima pagina mi sono sorpresa a commentare: “Atroce!”.

Lettura incredibilmente interessante. Super consigliato!

Alla prossima puntata, amici lettori!

Maggio: Oggi avrei preferito non incontrarmi

Sì, sono molto in ritardo stavolta.

Maggio è stato un mese infinito e “Oggi avrei preferito non incontrarmi”, della scrittrice Premio Nobel, Herta Müller, è stata una sfida non indifferente.

Se la notte prende da ciascuno la sua sbornia, verso il mattino dev’esserne tutta piena fino alle stelle. Sono così tanti a bere qui in città.

p. 11

Rincorrere i pensieri

Ho iniziato a leggere questo romanzo pensando che la trama fosse molto dinamica. Forse mi ero immaginata una sorta di giallo ambientato nella Romania di Nicolae Ceaușescu. Ma come spesso accade in letteratura e nella vita… Non tutto è quello che sembra. Ed è così che mi sono ritrovata impigliata nei pensieri di una donna il cui carattere non è mai completamente svelato dall’autrice.

Mi sono spesso (forse troppo spesso) persa nella risacca dei flashback repentini che costellano il romanzo. Ho faticato a stare dietro ai ricordi di infanzia della protagonista. Al suo desiderio perverso di avere rapporti sessuali col padre. Alla descrizione della ferocia della madre. Agli incontri con personaggi paradossali sul tram, per le strade di una cittadina rumena.

Mi inquietava un po’, mentre camminavo sul marciapede, che lassù in cielo ci fosse qualcosa di bello e sulla terra qui sotto nessuna legge che proibisse di guardare in alto. Quindi era concesso strappare al giorno qualcosa, prima che si immiserisse nella fabbrica.

p. 13

Poi ho iniziato a capire. A entrare nella storia. Non tanto grazie alla descrizione della giovane protagonista ma, paradossalmente, grazie allo stile fragmentato di Herta Müller.
Ammetto la mia frustrazione durante questo mese e mezzo di lettura. Mi sono lagnata per la costruzione narrativa eccessivamente contorta, per la trama quasi inesistente (una giovane donna che, per sua sfortuna, si trova a dover sostenere dei colloqui con i servizi segreti del regime) e, tutto sommato, noiosa.

Vedi alla voce “dittatura”

Poi ho capito. La forza di questo romanzo (comunque di non facile lettura, a mio avviso) è proprio il suo non essere immediato. Tutta l’angoscia della vita in un regime dittatoriale si insinua gradualmente e silenziosamente nella mente del lettore, vittima a sua volta della prigionia di una protagonista senza nome.

(…) Poi il silenzio era solcato di piaghe, i cani abbaiavano fino al treno successivo. Il mio cervello colava e si scioglieva.

p. 140

maggio 2

Senza nome probabilmente perché, per il regime, non cambia nulla se ti chiami X o Y. Non cambia nulla se sei colpevole o vittima dei capricci di un uomo che non hai voluto assecondare. Non cambia nulla se rispondi “sono stata io” o “non sono stata io”. Per il regime basta il sospetto. E sei marchiato. Ogni tua azione è misurata, giudicata. I tuoi vicini ti spiano. Prendono appunti sui tuoi spostamenti. Chi ti sta accanto viene pedinato, aggredito. E non puoi fare altro che continuare a presentarti “giovedì alle dieci in punto”. Non puoi fare altro che sopportare che il tuo aguzzino, ad ogni colloquio, nel farti il baciamano ti stritoli le dita con violenza…

(…) E negli interstizi resta spazio per la felicità.

p. 89

Penso a quello che ho

In diversi momenti ho pensato di aver sbagliato romanzo. “Non è per me, troppo lento”. Sono stata sul punto di abbandonarlo. Ma sono felice di essere andata fino in fondo. C’era qualcosa che mi diceva di continuare.

Oggi so qualcosa in più. Per anni leggiamo sui libri di scuola le parole “dittatura”, “regime”, “servizi segreti”, “tortura”. Ma cosa sappiamo poi veramente delle vite di chi è sopravvissuto a queste storture della storia? Come facciamo a sapere cosa si prova a non sapere se dopo aver varcato la soglia di una stanza lurida di una caserma, uscirai vivo? Se vedrai ancora il cielo? Che ne sappiamo di cosa significa non poter sognare di vivere in un altro Paese?  Ecco, io penso a quello che ho. E sono fortunata. Penso che solo sforzandosi di capire un ritmo diverso, uno stile linguistico diverso, un modo di raccontare diverso, possiamo davvero capire qualcosa.

È stato un viaggio faticoso ma ne è valsa la pena.

 

Alla prossima puntata, amici lettori!

 

Aprile: Il bacio più breve della storia

Accendi neon da bagno

in mezzo a un bosco fiabesco

Esistono donne il cui mistero svanisce d’un tratto

quando scoppiano a ridere.

Come se qualcuno accendesse neon da bagno

in mezzo a un bosco fiabesco.

Tu fai crescere boschi fiabeschi

in un bouquet di neon.

P. 61

E se in una notte parigina vi trovaste faccia a faccia con una creatura misteriosa e affascinante? E se l’unica cosa possibile da fare fosse baciarla?

Un bacio brevissimo. Indimenticabile.

E se, una volta aperti gli occhi, la creatura sparisse nel nulla?

Così inizia la storia di Mathias Malzieu, cantante e scrittore francese.

Un cocktail romantico e surreale, con personaggi ai limiti del cartone animato. Una storia profumata di atmosfere fiabesche e incantate. Di dolci e invenzioni infantili.

Un inventore che non inventa più, deluso dall’amore e arreso alla sua solitudine. Una donna invisibile. Un incontro che stravolge esistenza e certezze.

Un ex detective, amico delle star hollywoodiane. Elvis, un pappagallo addestrato per i pedinamenti in aria che riproduce anche il suono degli orgasmi. Cioccolatini al sapore di bacio.

Le conseguenze dell’amore

Poi mi sono innamorata. Più amavo e più a lungo scomparivo. Finché mi sono innamorata alla follia, diventando invisibile senza interruzioni.

P. 40

Annullarsi nell’altro. Rinunciare a se stessi. Per amore?

Per paura di perdere la persona amata?

Sono anche questi i rischi dell’amore. E di questo è disseminato il romanzo. Dei rischi che si corrono quando ci innamoriamo e quando non siamo più innamorati.

C’è chi addirittura dimentica il cuore su un taxi e non torna a recuperalo…

P. 51

Poi la svolta. Un incontro inaspettato e insperato che cambia tutto. E ci si ritrova a inventare di nuovo. Siamo improvvisamente ispirati, coraggiosi. Talvolta sfacciati. La fantasia si rimette al lavoro e ci spinge a pensare a cose che non avremmo mai immaginato di pensare.

Un unico scopo. Provare un’altra volta le sensazioni che abbiamo provato durante l’incontro magico. Riassaporare il mistero. Ed eccoci ad arrovellarci sul perché viviamo in questo stato di attesa perenne. Il logorio della domanda “perché non riesco a togliermi dalla testa questo bacio?”. E poi, “quando lo/a rivedrò?”, “perché non mi cerca?”.

foto blog aprile 4

Corsi e ricorsi agrodolci

Come si sente?”

“Baciata!”

“E i polmoni?”

“Normali.”

“Sensibili?”

“Meno del cuore”

“Perché di solito è il cuore a farla tossire?”

“Quando c’è lei, temo di sì.”

P. 69

Infine la fortuna decide di assisterci. Ritroviamo quella sensazione che abbiamo rincorso per giorni, mesi che sembrano anni. Piano piano ci affidiamo all’altro, anche se è invisibile. Anche se scopriamo che al posto del cuore gli è rimasto il foro di un proiettile. Ma cosa cambia? Insieme si costruisce una piccola routine. Quotidianamente stupiti dalla potenza inaspettata di questo Amorcerotto.

foto blog aprile 3

Forse ogni tassello sta tornando al suo posto? Non è facile ma ci buttiamo a capofitto con ogni brandello della nostra insicurezza.

E quando pensiamo di aver trovato una nuova stabilità…

Il passato bussa alla porta. Insinua il dubbio. Dobbiamo incontrarlo un’altra volta. Perché a spingerci c’è quella “specie di rabbiosa gioia”.

E il nostro Amorcerotto? Starà lì a guardare? Si arrenderà? O lotterà contro il Ritorno al passato?

E noi sapremo cosa fare? Cosa sceglieremo?

Se potessi scontrarti con un vero nemico, ti sentiresti sollevato, giusto?”

“Sì! Una vera stronza mi farebbe proprio bene. Così potrei vendicarmi come un cowboy del cazzo!”

“Ma tu hai un nemico…”

“Ah, sì? E chi sarebbe?”

“Te stesso!”

“…”

“Sei il tuo peggior nemico, vecchio mio! Il più spietato, maldestro e difficile da controllare.”

P. 88

foto blog aprile 2

Ora o mai più

Alla fine scegliamo, amici lettori. Si sceglie sempre. Prima o poi.

Non voglio svelarvi niente di più. Leggete questo breve romanzo come se fosse la favola della buonanotte che vi leggeva vostra mamma prima di andare a dormire. O che leggete ora ai vostri figli. Tornate ingenui, fatevi stupire. Vi sorprenderete più di una volta a sorridere alle pagine del libro. Vi affezionerete ai personaggi e vorrete sapere spasmodicamente come va a finire il racconto. Abbandonatevi.

Non avete voglia anche voi di un pizzico di magia nelle vostre giornate?

Alla prossima storia, amici lettori!

 

Marzo: Berta Isla di Javier Marías

Anche Berta, come Tomás, sembrava sapere, fin dall’inizio, a che tipo di persona apparteneva, a che tipo di ragazza e donna futura, come se mai avesse dubitato che il suo era un ruolo da protagonista, non secondario, almeno nella propria vita. Ci sono persone, invece, che si vedono già come comparse, perfino nella propria storia, come se fossero nate con la consapevolezza che, per unica che sia ciascuna vita, la loro non meriterà di essere narrata, o vi si farà cenno solamente quando si narrerà quella di un altro, più avventurosa e degna di nota. Nemmeno come intrattenimento in un lungo dopopranzo o in una serata accanto al fuoco senza sonno.

pp. 15-16

Chi è Berta Isla?

Berta è una bella donna, una di quelle che ti restano impresse.

È la moglie di Tom Nevinson. L’uomo che ha scelto fin dall’adolescenza. L’uomo che pensa di conoscere in tutto e per tutto.

Eppure, tutta la sua vita sarà segnata dai segreti del marito.

Quanto sappiamo davvero delle persone che abbiamo accanto? Probabilmente poco. Forse soltanto quello che l’altro decide che possiamo sapere. Ma quanti di noi si rassegnano placidamente a vivere in questa condizione? Probabilmente tutti.

E Berta è una dei tutti. È una delle tante mogli (ma ci sono altrettanti mariti) che si fa andare bene i silenzi del partner, il non detto. L’ansia notturna di un uomo evidentemente turbato, trasformato da eventi improvvisi e imprevisti che gli sconvolgono l’esistenza ancora giovane. Quando è ancora tutto possibile. In divenire.

Quand’è che possiamo considerare l’altro “estraneo”?

 In fin dei conti non è mai dato sapere se si arreca danno a qualcuno finché la storia di costui non è completa, e per questo ci vuole tempo. 

p. 47

Quante volte ci hanno detto che bisogna essere un po’ misteriosi per affascinare il prossimo, guardarsi dal rivelare tutta la verità. Quante volte mi è stato rimproverato il fatto di esporre immediatamente i miei punti deboli.

«Nulla ha peso senza mistero, senza una nebbia che lo avvolga, e noi siamo avviati verso una realtà priva di tenebre, senza chiaroscuri. Tutto ciò che è conosciuto è destinato a essere inghiottito e banalizzato, a tutta velocità, e a non avere quini nessuna influenza. Ciò che è visibile, che è spettacolo di pubblico dominio, non può mai cambiare niente (…).» 

p. 53

L’attesa

E così, mentre Tom viene sempre più assorbito e condizionato dalla nuova vita da infiltrato, Berta attende. Per mesi, poi anni. Ovviamente si pone moltissime domande. Non trova risposte. Tom la tiene all’oscuro. Non può raccontare nulla di quella nuova esistenza.

Sopporta anche la consapevolezza che il compagno abbia avuto altre storie, per circostanze date dal suo lavoro oscuro e non solo.

Chi rimane al fianco del traditore, chi decide di ignorare il tradimento, avrà sempre la facoltà di mostrare la cicatrice e di recriminare, anche solo con lo sguardo, o con il passo, o con il modo di respirare. O con quello di tacere, soprattutto quando non c’è motivo di tacere e il coniuge si chiederà: «Perché non risponde, perché non dice niente, perché non alza gli occhi al cielo? Starà rivivendo quello che è successo?».

p. 215-216

Ma arriva un momento in cui, l’ansia di sapere diventa ingestibile, una miccia che ci infiamma e se non otteniamo spiegazioni due sono le strade: la cieca rassegnazione o il rifiuto categorico dello status quo, cui segue il cambiamento.

(…) e quando si aspetta per troppo tempo si finisce per coltivare un sentimento ambivalente o contraddittorio: si scopre di essere ormai abituati ad aspettare e che forse non si vuole più altro. Non si vuole che quello che quello stato si interrompa o si concluda con la telefonata tanto attesa, con l’arrivo sperato, con la ricomparsa anelata, e ancora meno si vuole il contrario, l’annuncio che nulla di questo avverrà, che la persona attesa non darà mai segni di vita né tornerà più. (…) 

p. 290

berta square

Tornare al passato

Le vite di Berta e Tom si muovono inesorabili parallelamente. Due sconosciuti che si conoscono da sempre. All’apparenza totalmente diversi, eppure continueranno sempre ad aggrapparsi all’altro. Al suo ricordo. Al pensiero di quello che poteva essere e non è stato. Al pensiero di quello che è stato e che non sarà più. Prigionieri del proprio destino.

«Quello che ci lasciamo alle spalle ci pare inoffensivo perché lo abbiamo superato con successo, perché siamo ancora vivi e non abbiamo perso tutto. Vorremmo tornare al passato perché quel passato è ormai chiuso; conosciamo il risultato e vorremmo ripeterlo».

p. 414

Confessione di bambina

Ho iniziato a leggere Javier Marías molto tempo fa. Facevo ancora il liceo. Molte cose non le capivo bene. Le intuivo e basta. Leggendolo ora, posso dire che raramente mi sono imbattuta in analisi così lucide dell’umanità. Dalla semplice descrizione di una sigaretta fumata guardando una piazza dal balcone, ai pensieri che ti vengono in mente mentre aspetti una risposta, mentre rifletti sul tradimento o sulla sua eventualità, mentre guardi una persona e dal suo abbigliamento realizzi inconsciamente che tipo è. La delicatezza con cui si sofferma su certe speranze di padre, di moglie. Di donna. Quando pensi che si stia ripetendo in alcuni passaggi vieni subito rapito da una considerazione che ti lascia stordito e che poi ti fa dire “è esattamente così.”

Assolutamente consigliato.

Berta Isla, Einaudi, 2018.