Le intermittenze della morte

p. 139

“Cosa leggi?”
“Le intermittenze della morte”
“Le tue solite letture pesanti”
“Non è per niente pesante! Fa anche ridere!”
Silenzio.

Che pensereste se un bel giorno, di punto in bianco e senza nessun motivo apparente, la gente smettesse di morire? Sareste felici?

Chissà se José Saramago, Premio Nobel per la letteratura nel 1998 e autore che ogni lettore dovrebbe leggere almeno una volta nella vita, è partito da queste domande per iniziare la stesura di questo romanzo sorprendente.

Se non vi siete mai imbattuti nello stile di Saramago, qualche piccola avvertenza, amici lettori: dimenticate la punteggiatura, in particolare nella forma del punto. Vedete, potrete leggere pagine intere di questo scrittore portoghese, unico nel suo genere, senza trovare il punto. Non solo, dimenticate le virgolette nel discorso diretto e dimenticate anche la regola (patrimonio dell’umanità) della frase semplice “soggetto-verbo-complemento oggetto”.
Ebbene sì, Saramago è il trionfo, anzi no, è la vendetta delle subordinate, in cui all’inizio vi sembrerà di perdervi, come in un labirinto. Ma non preoccupatevi perché basterà prendere il ritmo e sarete un tutt’uno con il pensiero dell’autore.

A proposito, non resistiamo a rammentare che la morte, di per sé, da sola, senza alcun aiuto esterno, ha sempre ammazzato molto meno dell’uomo.

p. 101

La trama è molto semplice: in un Paese X, la morte (badate bene, morte scritto minuscolo, non sbagliatevi) decide che dalla mezzanotte del 31 dicembre, nessuno morirà più. Sconcerto ed entusiasmo si mescolano insieme in un cocktail esplosivo in cui Governo, Chiesa, Assicurazioni, Onoranze Funebri, Ospedali, Case di Riposo, Famiglie, Criminalità dovranno, per forza di cose, cercare un nuovo equilibrio.

Purtroppo, quando si avanza alla cieca nei pantanosi terreni della realpolitk, quando il pragmatismo s’impossessa della bacchetta e dirige il concerto senza badare a cosa c’è scritto nello spartito, è più che sicuro che la logica imperativa del degrado finisca per dimostrare che, in definitiva, c’era ancora qualche gradino da scendere.

p. 52

E ancora, qualcosa che suona incredibilmente familiare (specie in questi giorni):

Non capisco che cosa le dice il cervello a quella gente, disse, il paese sprofonda nella più terribile crisi della sua storia e loro lì a parlare del cambiamento del regime, Io non mi preoccuperei, signore, quello che stanno facendo è approfittare della situazione per diffondere quelle che definiscono le loro proposte di governo, in fondo non sono altro che dei poveri pescatori di acque torbide, (…).

p. 79

Giunti a questo punto, penserete “Sì ma poi non succede nient’altro?”.
Succede dell’altro, amici.

Se, dopo una tregua di circa sette mesi, la morte (sempre in minuscolo) decidesse di tornare a compiere il suo dovere, in una diversa modalità, diciamo più attenta alle esigenze dell’uomo, avvisandolo prima dell’evento luttuoso imminente, a mezzo lettera, cosa pensereste? Sareste felici?
Ma c’è ancora dell’altro: se a un certo punto, una di queste lettere tornasse indietro al mittente? La morte che farebbe?

È impossibile, disse la morte alla falce silenziosa, nessuno al mondo o fuori dal mondo ha mai avuto più potere di me, io sono la morte, il resto è nulla.

p. 135

Amici lettori, secondo me, dovreste andare a fondo in questa faccenda.

31 Dicembre 2020: Exit West di Mohsin Hamid

Sono così felice di chiudere l’anno (e che anno, ragazzi!) con questo romanzo di Mohsin Hamid. L’ho amato così tanto che non vedevo l’ora di raccontarvelo.

Avrei dovuto leggerlo tempo fa, ma nella fretta dell’era pre-Covid, quando ogni cosa aveva un altro peso e un’altra urgenza, lo avevo dimenticato sul comodino della mia cameretta di Lecce. E così, per un intero anno e forse un po’ di più, è stato coperto da altri libri e oggetti vari. Lì su quel comodino, in attesa.

E forse è stato un segno averlo ritrovato in questi ultimi giorni di dicembre di questa nuova era che stiamo vivendo (e) maledicendo, ma alla quale io sarò sempre grata perché mi ha fatto ritrovare un equilibrio che avevo scordato di poter raggiungere. Un equilibrio che non è stasi ma sintesi di tutti i colori e i volti, le attese, le conquiste e le sconfitte che hanno costellato questo 2020. E chiudere questo pazzo anno con in mente le parole di Exit West mi rende incredibilmente felice.

È la storia di tutti noi. Naviganti coraggiosi. Viandanti alla ricerca della felicità.

È la storia dell’umanità, da sempre caratterizzata da una parola che oggi impaurisce tante persone: la migrazione.

Posizione, posizione, posizione, ripetono gli agenti immobiliari. La geografia è destino, replicano gli storici.

p. 8

Nasciamo in un posto ma sentiamo la necessità di spostarci, di scoprire nuovi orizzonti, nuove opportunità, nuovi noi. Migriamo per sfuggire alla guerra, alla povertà, al cambiamento climatico. Migriamo per conquistare un destino migliore. E spesso affrontiamo viaggi interminabili, terre inospitali, vicini che sembrano nemici ma che poi li guardi in faccia e sono come noi. Ma loro non lo sanno ancora.

In quel periodo, a leggere le notizie, veniva da pensare che le nazioni fossero come persone con personalità multiple, alcune che sostenevano l’unione e altre la disgregazione, e che quelle personalità multiple fossero anche persone la cui pelle si stava dissolvendo mentre nuotavano in un brodo pieno di altre persone la cui pelle anche si stava dissolvendo.

p. 104

L’autore, Mohsin Hamid, sceglie di zoomare sulle vite di Nadia e Saeed, due sopravvissuti. A tante cose: al viaggio, all’ostilità, alla povertà, al loro stesso rapporto.

Ogni volta che si spostano, due partner, se la loro attenzione è ancora rivolta l’uno verso l’altra, cominciano a vedersi in modo diverso, perché le personalità non hanno un unico immutabile colore, come il bianco o il blu, ma sono come schermi illuminati, e le sfumature che proiettiamo dipendono da ciò che ci circonda. Così era stato per Saeed e Nadia, che in quel nuovo posto erano cambiati l’uno agli occhi dell’altra.

p. 123

E tramite questi due ragazzi, Hamid apre delle porte, all’interno delle quali, leggendo, possiamo solo sbirciare. Ma in fondo sappiamo di averne già varcata qualcuna. Qualcun’altra, invece, dobbiamo ancora avere il coraggio di aprirla.

Siamo tutti migranti attraverso il tempo.

p. 139

Su cosa danno queste porte e che forma hanno dovrete scoprirlo leggendo questo romanzo che vi rapirà per la sua semplicità disarmante e la sua commovente eleganza.

Consigliato con tutta me stessa.

Autore: Mohsin Hamid

Editore: Einaudi

Natale 2020: Il Mago

Probabilmente, quando ho comprato Il Mago di W. Somerset Maugham, mi sentivo un po’ gotica.
Del resto, chi non è intrigato dall’arte magica?

Eh sì, diciamolo pure che è la magia nera quella più affascinante, specialmente per chi trascorre le sue giornate in smartworking e l’unica arte con cui si interfaccia ogni giorno è quella di capire cosa cucinare!

Photo by Kelly Lacy on Pexels.com

«Mi dicevo che in fondo a ciascuno di noi, come il retaggio di un passato lontano, c’è un residuo della superstizione che accecava i nostri padri. È necessario che l’uomo di scienza la contrasti con tutte le sue forze. Eppure, essa è più forte di me.»

p. 221

Un racconto cupo, a tratti angosciante e perverso, che ti inchioda alla pagina, nell’ansia spasmodica di sapere cosa accadrà alle vite dei personaggi coinvolti.

Cosa sarà delle esistenze degli sventurati che si imbattono sul cammino di uno stregone corpulento, sfacciato e malvagio? Sarete disposti a credere a ciò che la ragione vi obbliga a rifiutare?

«Chiunque può prendersi gioco di quel che non conosce»
replicò Haddo, stringendosi nelle spalle possenti».

p. 45

In una danza macabra, oscura e tormentata, Maugham ci svela i destini spietati di chi osa sfidare il mistero, di chi ha tutto banalmente sotto controllo e, un attimo dopo, impietrito dalla paura, ha perso ogni certezza. Come può un mago, un ciarlatano, un impostore piegare al suo volere gli eventi, stravolgere la vita di una giovane coppia e dei suoi amici? Come si può cadere in questa trappola diabolica?

Ma cos’è che muove il mistero? Cos’è che ci spinge a credere? Qual è il fine ultimo di Oliver Haddo, il mago protagonista di questa storia? È poi così distante dall’obiettivo di qualunque altro uomo o donna sulla faccia della Terra?

Resteremo sorpresi nello scoprire certe inquietanti somiglianze… Per chi è disposto a cercarle.

«Ma se ciò vi risulta incomprensibile, rammentate che soltanto colui che vuole con tutto il cuore troverà, e soltanto a colui che bussa con forza la porta sarà aperta»

p. 94
p. 96-97

Autore: W. Somerset Maugham

Editore: Adelphi

Vi lascio anche un pezzo che mi ha ispirata e accompagnata nella scrittura di questa recensione telegrafica 🙂

Dicembre: Ogni riferimento è puramente casuale

Non avevo ancora letto nulla di Antonio Manzini, lo ammetto. E non so se sia giusto conoscere questo autore partendo da questa raccolta di racconti (probabilmente no!) ma vi assicuro che vi divertirete molto.

Specialmente se vi è capitato di bazzicare, indirettamente o direttamente, lo spietato mondo dell’editoria. Specialmente se avete vissuto certe atmosfere romane (il primo racconto sulla vita di uno scrittore emergente mi ha letteralmente piegata in due…Sì, ridevo da sola in aeroporto ed era ben evidente nonostante la mascherina). Specialmente se amate l’ironia.

“Quello che voi editori non volete capire è che ormai se vuoi arrivare alla gente devi essere autentico”.

“Ma che cazzo vuol dire?” sbotta Mezzasoma.

“Devi viaggiare basso” risponde amaro Pinelli. “Non alzare la posta, essere comprensibile, rassicurante, non insinuare dubbi e soprattutto sembrare il vicino di casa un po’ sfigato. Se poi sei pure cafone e aggressivo allora sì, sei veramente autentico”.

p. 82

Sette racconti sul destino dell’industria culturale. Una riflessione sulla piega (triste) che sta prendendo l’arte del racconto, sempre più votata al marketing, sempre meno all’arte. Un mix di situazioni grottesche, accese da un cinismo e da un sarcasmo di cui tutti abbiamo bisogno. Anche a Natale.

Illustrazione di J. Frederick Smith

La casa editrice certe cose le sa. Finché c’è vita non c’è speranza!

p. 218
p. 146-147

Ps. Il finale del secondo racconto è… Geniale!

Autore: Antonio Manzini

Editore: Sellerio

Novembre: Finché il caffè è caldo

Cos’hanno in comune una donna in carriera, un anziano che sfoglia una rivista di viaggi, un’infermiera, una donna incinta, un omone enorme, una cameriera impassibile e l’eccentrica proprietaria di un bar?

Apparentemente nulla. Eppure sono tutti legati.

Da un luogo: un piccolo bar dall’atmosfera rétro. Da un certo tipo di caffè. Da una sedia: quella sedia. E soprattutto, da una leggenda giapponese.

“Una costante sfumatura color seppia tingeva l’interno del locale. Senza un orologio, era impossibile dire se fosse giorno o notte.
C’erano tre grossi orologi antichi da parete nel caffè, ma le lancette segnavano tutte orari diversi. Era fatto apposta, oppure erano semplicemente rotti?”

p. 7

Si narra che nella piccola caffetteria giapponese protagonista di questo romanzo d’esordio di Toshikazu Kawaguchi, sia possibile andare indietro nel tempo. A patto che si rispettino determinate regole.

Una su tutte, la più importante, è quella di “finire il caffè finché è caldo”.

Non solo. Colui o colei che decida di affrontare questa prova e di affidarsi alla magia dell’antico caffè, dovrà essere ben consapevole che qualsiasi persona incontrerà, in qualunque momento del passato torni, qualsiasi verità vorrà scoprire o rivelare…

“Il presente non cambierà comunque”

Ma perché? È assurdo e crudele. Perché esiste una regola del genere?

“L’unica spiegazione che Kazu si limitava a dare era «Perché questa è la regola».”

p. 17

Un romanzo sulle occasioni mancate e su quelle che possiamo ancora costruire. Sulle parole non dette, per timidezza, per paura. Sui rimpianti che ci trasciniamo dietro e che tentiamo di nascondere, presi dai nostri mille impegni quotidiani. Sulla speranza di incontrare un po’ di magia sul nostro cammino. Una scintilla che ci dia la possibilità di capire qualcosa in più delle nostre scelte o di quelle compiute da altri intorno a noi. Che ci faccia finalmente realizzare che, a volte, per essere felici, basta godersi un caffè a piccoli sorsi.

Certo, in questo caso, ce lo porterebbe una ragazza giapponese di nome Kazu, dall’espressione impassibile. E avvertiremmo subito che c’è

(…) qualcosa di strano nel suo aspetto: tiene in mano un vassoio d’argento con una tazza bianca e una piccola caffettiera d’argento, anziché la solita caraffa di vetro con cui serviva il caffè ai clienti.

p. 75

E se doveste sentirvi improvvisamente leggeri, se il vostro sguardo dovesse perdersi nel fumo del caffè caldo e se non riusciste più a capire che giorno è… State tranquilli, siete solo tornati indietro nel tempo. E magari sta per entrare una persona molto importante per voi…

Quanto a me, tornerei a un pomeriggio romano, quando in mezzo a una classe di ragazzi speranzosi, riuscivo a vedere solo due occhi. Ma questa, amici, è un’altra storia…

Alla prossima puntata.

Autore: Toshikazu Kawaguchi
Editore: Garzanti