Madonna col cappotto di pelliccia

“Raif Bey, cerchi di capirmi! Io sto per intraprendere una strada che lei ha percorso fino alla fine. Voglio imparare a capire le persone e, soprattutto, voglio sapere quello che la gente le ha fatto…”, dissi.

p. 55

All’inizio non avevo afferrato il significato di questa frase. A quale “percorso” fa riferimento la voce narrante di “Madonna col cappotto di pelliccia“, di Sabahattin Ali, edito da Fazi Editore?
Mi era però familiare quella voglia di conoscere le persone, di provare a capirle. Forse perché spesso mi capita di “intuire” soltanto, di sfiorare certe persone e di non riuscire a comprenderle davvero. E quindi sono andata avanti, dicendomi “più avanti capirò”. (Ammetto che riferendomi alle persone, è più facile che mi ritrovi a mormorare: “Non capirò mai” 😂).

Il potere della casualità

C’è chi crede che tutto accada per una ragione. Di conseguenza, se incrociamo qualcuno sul nostro cammino, c’è un perché.

Non so in cosa credesse l’autore, ma il suo romanzo parla di incontri casuali che cambiano l’esistenza, sconvolgendola del tutto.

Gli incontri sono due: quello tra il narratore e Raif Bey e quello tra Raif e Maria Puder. Due storie collegate: quella di un’amicizia e quella di un grande amore.

p. 45

Anni Trenta, Turchia, Ankara. Un ragazzo un po’ demotivato si imbatte in Raif Effendi, restando subito colpito dalla sua apparente mediocrità. Tutti considerano Raif come uno scansafatiche, è maltrattato sia al lavoro che in famiglia. Per qualche strano motivo, però, i due entrano in confidenza. Cosa si nasconde dietro lo sguardo assente e l’indifferenza di quest’uomo vessato da tutti? Sarà un taccuino a svelare la verità: dieci anni prima, Raif Effendi lasciava la provincia turca per imparare un mestiere a Berlino. Ed è proprio in un museo berlinese che si era innamorato del dipinto di una donna con indosso un cappotto di pelliccia. Era talmente affascinato dal quadro che tornava a contemplarlo tutti i giorni, fino a quando una notte aveva riconosciuto la misteriosa donna del dipinto. Si chiamava Maria ed era un’artista.

This is not (only) a love novel

Starete pensando “Oh, no. La solita storia d’amore”. Non è proprio così.
Innanzitutto, questo romanzo parla della solitudine che tanti di noi, specialmente in alcune fasi della propria esistenza, provano anche in mezzo alla folla. Della solitudine che ci ritroviamo a sperimentare in città grandi e nuove e di quell’irrequietezza che sperimentiamo quando non abbiamo chiari davanti a noi degli obiettivi. Ma parla anche di culture diverse (Turchia e Germania tra le due guerre mondiali), di pregiudizio e della paura folle di restare delusi, intrappolati nell’altro, “di sottomettersi”, come direbbe Maria Puder. E soprattutto, racconta della rassegnazione davanti alle incomprensibili trame del destino.

p. 208

Una straordinaria storia ordinaria

Una trama semplice ma coinvolgente (ti tiene incollato!), uno stile pulito, fluido, senza fronzoli, in grado di indagare la passione e i sentimenti, alternando sapientemente profondità e leggerezza. Capace di raccontare la “normalità” dei personaggi e la “straordinarietà” dei loro destini. Un’atmosfera sospesa, quasi magica, quasi onirica.

Il romanzo osteggiato dalle dittature

Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta nel 1942, poi è scomparso, censurato dalle autorità turche.

Nel 2016, dopo il colpo di stato fallito, il regime di Erdoğan ha perseguitato duramente giornalisti, intellettuali, scrittori, attivisti e soppresso ogni mezzo di informazione che osasse contrastarlo. Eppure, solo un romanzo dissidente continua a essere venduto: Madonna col cappotto di pelliccia. Simbolo della resistenza dei giovani turchi, ispirati probabilmente dalla libertà del racconto di Sabahattin Ali, dal viaggio in Europa, dalla storia d’amore fuori dagli schemi, dall’emancipazione di Maria Puder, e probabilmente dall’idea che si possa, in qualche modo, scegliere il proprio stile di vita, scegliere chi amare.

Ci sono poche notizie sulla biografia dell’autore, Sabahattin Ali. Quello che si sa per certo è che, per un periodo, soggiornò a Berlino e che poi fece ritorno in Turchia.

Se potessi parlarci oggi, gli chiederei come prima cosa se ha davvero conosciuto la Madonna col cappotto di pelliccia, se ha realmente vissuto quell’amore straordinario.

Mi piace pensare che sia una storia autobiografica.

Alla prossima puntata, amici lettori!

Essere innamorati

Ho finito di leggere Gilgi, una di noi un paio di settimane fa. L’ho praticamente divorato. Poi mi sono presa una pausa da lei e dalla sua autrice. Ho capito che molto del romanzo è autobiografico. Molto si riferisce alla storia d’amore di Irmgard Keun con Joseph Roth (trovate qualcosa in uno dei post precedenti).

Ci ho pensato un po’ e ho anche capito che mi sono spaventata. Questa storia travolge. Non perché sia sensazionale, intendiamoci. Ma c’è qualcosa di violento nello stile frammentato di questo romanzo, nelle pieghe del racconto. Qualcosa che ti rimane attaccato alla pelle e che ti ritorna nella mente come un ronzio.

In diversi momenti è ironico, irriverente, specialmente per essere stato scritto negli anni Trenta. In altri, la precisione con cui sono descritte le emozioni, i dubbi di questa ventenne ribelle fanno quasi paura. La penna di Keun può essere una lama molto affilata.

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Ci si sente nudi, smascherati, disarmati.

Gilgi è decisamente una di noi. Nelle insicurezze, nelle riflessioni sull’altro sesso, nelle scelte irrazionali ma anche nell’impotenza di fronte alla dipendenza da una persona che ama. Nella paura di deludere. Il compagno ma anche se stessa e quello in cui crede.

Ho provato a immaginare una Gilgi anziana. Un incontro. Io e lei sedute una di fronte all’altra.

“Dopo tutto quello che hai vissuto con Martin, il tuo scrittore bohémien, come consideri il vostro rapporto? Ti sei mai pentita?”, le chiederei. E poi anche: “L’amore può essere dipendenza? E in che misura, secondo te?”

Dov’è il confine tra amore e ossessione? Chi lo stabilisce?

Ho pensato di salutare questo personaggio leggendo un passaggio in cui viene letteralmente scandagliata la condizione di chi è innamorato…

(…) una condizione straziante. Dovrebbe esserci una medicina per chi si trova in quello stato.

p.125

Personalmente non mi sono mai sentita straziata o svuotata. E quando alcune amiche mi raccontano di provare sentimenti simili a quelli descritti da Gilgi, non li capisco. Ci provo ma non riesco a capirli. Significa che non mi sono mai innamorata? Forse per Gilgi è così. E forse è anche per questa ragione che il romanzo mi ha spaventato… Io sono sempre stata convinta che esistono tanti modi di amare. Non so se si può dire lo stesso sul modo di innamorarsi.

Leggere Gilgi, una di noi è stata un po’ una sfida. Bisogna essere pronti a farsi molte domande. Ve la sentite?

 

Nel video trovate:

 

 

 

 

«Il nostro legame è così debole, così casuale»

Ma porca miseria, a chi altro dovrei dare importanza se non a me stessa? Io non ci credo, per me è una maledetta balla quando qualcuno dice che pensa prima alla collettività e poi a se stesso. E poi chi sarebbe la massa? Non è un viso, non è una persona a cui si vuole bene e che quindi si vorrebbe aiutare. Stai zitto, Pit, sto parlando io! Siete così spaventosamente vanitosi, voi ragazzi, volete sempre essere speciali. Volete sempre essere degli eroi e credete che il mondo non possa fare a meno di voi. E dato che volete essere eroici, allora avete bisogno di qualcosa che faccia arrabbiare, di qualcosa contro cui poter combattere, e se non c’è ve lo inventate…

p. 55

Queste sono le parole che Gilgi rivolge al suo amico Pit. Parole scritte dall’autrice Irmgard Keun nel 1931 mentre il vento nazista soffiava sempre più forte.

Parole incredibilmente attuali.

Allo stesso tempo, queste sono le parole che la giovane protagonista del romanzo usa prima dell’anno zero. Prima di incontrare Martin, uno scrittore bohémien che sconvolgerà profondamente la sua esistenza.

La vita di Gilgi è pianificata in tutto. Ogni momento della sua giornata è impegnato in qualche attività che non le faccia mai perdere di vista l’obiettivo: realizzarsi. Andare all’estero, lavorare ed essere indipendente. Poter contare solo su se stessa.

Poi l’arrivo di Martin. Un uomo completamente diverso da lei, alla continua ricerca dei piaceri della vita.

Per Martin l’autodisciplina non è importante e neanche il lavoro o il denaro. E soprattutto, non è necessario che Gilgi lavori. Per lo scrittore, ogni tentativo della ragazza di rendersi autonoma è uno spreco di energia e rappresenta solo un ostacolo al loro legame che diventa ogni giorno più stretto.

Gilgi è rapita dalla fantasia di quest’uomo e dalla sua voglia di avventura. Ascoltare le sue storie, per lei, è come vivere delle vite che non ha mai vissuto e, soprattutto, che non credeva possibile esistessero.

La fantasia di Gilgi è sempre stata una brava bambina: puoi giocare un po’ in strada, ma non devi girare l’angolo. Ora la brava bambina si sta allontanando un po’ troppo. Martin racconta, e Gilgi vede mari, deserti, campagne – quello che vede non è la realtà, non trova le parole per dirlo… è sempre così… vorrebbe tratteggiare le emozioni che prova con le sue proprie parole, render loro giustizia. Ah le mie piccole, grigie parole! È incredibile che ci sia qualcuno capace di parlare con così tanti colori!

pp. 70-71

Finisce col perdere di vista la sua più grande certezza: se stessa.

Vorrebbe vedere il futuro dritto e liscio di fronte a sé – un pezzettino di futuro insieme – e invece non vede nient’altro che un gomitolo oscuro e aggrovigliato.

p. 119

Entra nel meccanismo perverso di tacere certi suoi dubbi per timore della reazione del compagno. Per paura di deludere le sue aspettative e infine di perdere quel rapporto che, da “debole e casuale”, è diventato tutta la sua vita. In un certo senso, Gilgi è prigioniera del suo amore. Lo realizza un po’ per volta, a fatica. E più va avanti, più si affida a Martin, più perde un “pezzettino” di quella che era sempre stata.

Innamorarsi può essere l’inizio di una guerra con noi stessi che non sapevamo di dover affrontare. Una guerra alla quale è difficilissimo sfuggire.

 

 Per scoprire di più su “Gilgi, una di noi”, edito da L’orma editore, non vi resta che seguire il mio blog.

Alla prossima puntata!

 

I dipinti nel video sono dell’abstract painter Geraldina Khatchikian che ringrazio tantissimo.

Andate a vedere i suoi lavori sulle pagine Facebook e Instagram: GeraldinaKhatchikian.art

g.Khatchikian.art

 

 

 

Che cos’è l’uomo perché tu lo ricordi?

E così, tra una sinfonia di Bach e l’altra, tra un corso di linguistica e uno di letteratura sul romanzo dell’Ottocento e la città in Russia, Inghilterra e Francia, alla nostra Selin capita di innamorarsi. Di Ivan, un ragazzo ungherese che studia matematica e si sta specializzando in teoria della probabilità.

Due mondi incredibilmente diversi. Forse opposti. Comunicare è così faticoso e affascinante allo stesso tempo.  Voglio dire, Selin per rilassarsi ripete come una sorta di mantra la domanda “Che cos’è l’uomo perché tu lo ricordi?”. Lui è concentrato sulla sua carriera accademica e sta per laurearsi.

Ivan disse che voleva diventare un matematico. Io dissi che volevo diventare una scrittrice.

-Cosa vuoi scrivere? Drammi storici, saggi, poesie?

-No, romanzi.

-Interessante, -disse Ivan. -Secondo me, tu puoi scrivere un bel romanzo.

-Grazie, -risposi. -Secondo me, tu puoi diventare un bravo matematico.

-Davvero? Come lo sai?

-Non lo so. Sono educata.

-Aha, ho capito.

p. 101

Questo è un esempio di uno dei loro pochissimi dialoghi. Il loro rapporto, in realtà, si sviluppa quasi interamente via e-mail. Possono passare giorni prima che Selin ottenga una risposta da Ivan. A volte, addirittura, dimentica anche di avergli scritto.

Ma per qualche oscuro motivo continuano a scriversi e a rincorrersi. Tra fraintendimenti e appuntamenti mancati. Tra nottate passate su una panchina e conversazioni nel dormitorio dell’università. Selin scopre che Ivan ha una fidanzata. È proprio lui a presentargliela. Eppure lei decide di passare gran parte delle sue vacanze estive in Ungheria, in piccoli paesini sperduti, a insegnare inglese ai ragazzi. Solo perché Ivan è ungherese e passerà qualche settimana a casa.

Alcuni di noi direbbero che è una decisione da idioti. Ma chi è che non si è ritrovato in una situazione paradossale, surreale o semplicemente idiota per stare con una persona di cui ci si è invaghiti?

Selin non conosce quasi per niente Ivan ma sente di doverlo seguire. Forse ha bisogno di sentirsi idiota e fuori luogo. Si aggrappa a quei piccoli segnali di interessamento che lui ogni tanto decide di inviarle. E probabilmente anche a lui piace Selin. Forse non così tanto però. Non così profondamente. Ogni frase che lui le scrive o le dice è così ambigua che fino alla fine non sapremo (e Selin non saprà) cosa stia pensando davvero questo ragazzo.

Suona terribilmente familiare eh? Perché le persone non dicono chiaramente cosa vogliono? Perché è così difficile essere sinceri? Forse perché

(…) la civiltà è basata sulle bugie.

p. 354

Chi può saperlo? In ogni caso, pare non ci sia scampo. In alcuni momenti, comprendere le intenzioni di chi ci sta davanti sembra un’impresa praticamente impossibile. Incomunicabilità? Insicurezza? Fretta?

Forse alcune persone incrociano il nostro cammino per far venire fuori l’idiota che è in noi. L’importante è realizzarlo, a un certo punto. O è bene che qualcuno ci metta davanti la brutale verità. Come fa Svetlana, la migliore amica di Selin…

In ogni caso, vorrei ringraziare Elif Batuman, autrice newyorchese di origini turche, per aver dato vita al personaggio indimenticabile di Selin. Grazie a lei nessuno di noi, matricola o meno, si sentirà solo nella sua idiozia.

Che poi come sarebbe la vita senza gli idioti?

I mean, think about it.

 

 

Ottobre: L’IDIOTA di Elif Batuman

Sono tornata!

Nonostante la mia assenza il progetto prosegue. Il libro con cui ho scelto di iniziare quest’avventura è “L’Idiota” di Elif Batuman.

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A chi non capita di domandarsi durante il giorno: “Sono un vero idiota?”, oppure: “Mi sto comportando da idiota?”.

D’accordo. Forse capita anche di chiedersi se una persona a cui pensiamo o con cui abbiamo a che fare sia un completo idiota…

Ad ogni modo, questa è la storia di Selin. Una diciottenne al suo primo anno di università. E non un’università qualunque. Lei frequenta Harvard! È una ragazza molto intelligente, intuitiva, abituata ad avere tutto sotto controllo. Scoprirà presto che non siamo tutti così lineari come i personaggi dei numerosissimi libri che legge e dovrà fare i conti con quella strana cosa che chiamiamo “amore”. Di che si tratta? Perché è così banale e complicato allo stesso tempo? Cosa c’entrano la matematica e la lingua ungherese?

Non ci resta che seguire i pensieri e le azioni di questa insolita matricola e scoprire insieme a lei tutte le volte in cui ci siamo sentiti idioti per qualche ragione!

Presto qualche notizia sulla giovane autrice di questo romanzo di formazione assolutamente imperdibile e molto altro ancora.