Nel testo dello scrittore recentemente scomparso si parla di un mondo di parità tra specie diverse eppure così legate tra di loro. È lì che Mr. Bones dovrà cercare il suo padrone Willy.

A poco più di un mese dalla notizia della morte di Paul Auster, torno con una recensione di una delle sue opere della fine degli anni Novanta. Si tratta del bellissimo romanzo breve intitolato Timbuctù.

Dove trovare Timbuctù

A un certo punto Willy lo descrisse come «un’oasi dello spirito». Un’altra volta disse: – Dove termina la carta geografica di questo mondo, laggiù incomincia quella di Timbuctù -. Per arrivarci, sembrava che si dovesse attraversare un’immensa distesa di sabbia e calore, un dominio del nulla eterno.

Pubblicato per la prima volta nel 1999, Timbuctù racconta la storia di due viaggi, a mio parere. Il primo è quello relativo agli ultimi giorni di Willy, poeta americano logorroico e sgangherato, ammalatosi dopo anni trascorsi in strada, e di Mr Bones, cane malconcio che lo asseconda, seguendolo nell’ultima rocambolesca avventura verso Baltimora. Il secondo viaggio, che è poi quello più affascinante e difficile, è quello di Mr Bones verso Timbuctù, quel paradiso lontano in cui cani e umani parlano la stessa lingua e sono completamente sullo stesso piano. Tuttavia, di cosa si tratti esattamente non lo sa neanche il protagonista a quattro zampe di questa storia. Il padrone, gliene ha parlato nel suo stile strampalato, tra un colpo di tosse e un altro, ma dove sia precisamente e come ci si arrivi, Mr Bones dovrà scoprirlo da solo.

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