Sapete tenere un segreto?

Ultimo dell’anno. 

Purity di Jonathan Franzen mi ha accompagnato in questa fine 2018. Un anno intenso, turbolento, rivelatore. Esattamente come questo romanzo.

Come vi avevo promesso, il post di oggi è dedicato ai segreti. Al loro potere e alla loro capacità di unire le persone. Strano, in effetti. Prima di leggere questo passaggio, avevo sempre pensato, in maniera infantile (forse), che i segreti dividessero le persone. Creassero delle barriere, che fossero il preludio alla rottura dei rapporti. Voi cosa ne pensate? Sapete mantenere i segreti? Sono un bene o un male, secondo voi?

Ed ecco. In quest’epoca di ossessiva condivisione digitale, in cui è sempre più difficile avere dei segreti, vi lascio alle parole dell’autore che trovate a pagina 324.

 

Franzen restituisce tante piccole verità. Verità scomode da accettare ma che non possiamo fingere di non condividere.

Non possiamo fingere di non aver mai pensato che

Il volto non visto è sempre bellissimo.

p. 273

O che

(…) sotto sotto, in fondo al cuore, forse tutti si consideravano pieni di fascino. Forse era semplicemente una caratteristica umana.

p. 334

Così come non possiamo ignorare l’invasività di Internet nelle nostre vite e gli effetti che può avere:

Il cervello ridotto dalla macchina a un circuito di feedback, la personalità privata ridotta a una generalità pubblica: a quel punto la persona poteva anche essere già morta. 

p. 547

Ma davvero tutto si riduce a questo?

Speriamo di no. Speriamo di svegliarci da questo torpore digitale.

 

Buon 2019 a tutti, amici lettori! Che sia pieno di tanta meravigliosa letteratura.

 

Nel video:

Un estratto da Danses Gothiques di Erik Satie

 

Dicembre: Purity di Jonathan Franzen

Questa volta sono un po’ in ritardo ma non significa che non stia leggendo come una pazza! Il progetto prosegue e sono felice di dedicare questo mese natalizio a un autore meraviglioso che ancora (colpevolmente) non conoscevo: Jonathan Franzen.

Chi è Purity?

La ragazza che dà il nome al romanzo si fa chiamare Pip. Ventenne sgangherata, oppressa da un enorme debito universitario, da una madre fuori controllo e da un padre inesistente. Alcune circostanze apparentemente misteriose le danno la possibilità di cambiare il suo destino, scoprendo la verità sulle sue radici.

A prima vista, si potrebbe pensare che Purity Tyler sia la protagonista di questa storia, eppure credo che lei sia solo il pretesto per Franzen per raccontare tante altre vite. Ventenni, quarantenni, sessantenni.

Generazioni a confronto. Passati a confronto. Paesi a confronto. 

Personalità allo specchio

No, non è neanche così. Franzen non mette semplicemente sentimenti e situazioni davanti a uno specchio. Li viviseziona, li scandaglia come si farebbe con un fondale marino. Riesce ad analizzare anche quello che sembra essere il più insignificante dei dettagli, quelli a cui non faremmo mai attenzione durante le nostre giornate. Forse è anche per questo che viene considerato uno dei più grandi scrittori d’America.

È spaventosa l’accuratezza con cui descrive il rapporto complesso tra Pip e sua madre. Grazie a un passaggio su una banale abitudine, quella della telefonata quotidiana (chi non ce l’ha?), Franzen restituisce la fotografia della dipendenza tra madre e figlia.

Nessuna telefonata era completa prima che ciascuna delle due avesse reso infelice l’altra. Il problema, agli occhi di Pip- l’essenza dello svantaggio che si portava dietro; la presumibile causa della sua incapacità di riuscire in qualunque cosa -, era che lei amava sua madre. La compativa; soffriva con lei; gioiva nel sentire la sua voce; provava un’inquietante attrazione asessuata per il suo corpo; era attenta persino all’equilibrio chimico della sua bocca; desiderava che fosse più felice; detestava farla arrabbiare; la sentiva cara. Quella era l’enorme blocco di granito al centro della sua vita, la fonte della rabbia e del sarcasmo che rivolgeva non solo contro sua madre, ma anche, in maniera sempre più controproducente, contro oggetti meno appropriati. Quando Pip si arrabbiava, non ce l’aveva davvero con sua madre, ma con il blocco di granito.

p. 7-8

E ancora, il risentimento congenito di un figlio nei confronti della propria madre:

Era facile incolpare la madre. La vita era un’infelice contraddizione, desideri infiniti ma scorte limitate, la nascita come biglietto per la morte: perché non dare la colpa alla persona che ti aveva appioppato la vita? Okay, forse non era giusto. Ma tua madre poteva sempre incolpare la propria madre, che a sua volta poteva incolpare la propria, e così via fino all’Eden.

p. 121

Più si prosegue nella scoperta delle origini di Pip più ci si ritrova impigliati nelle esistenze strazianti di personaggi che ci sembra di aver conosciuto in una vita passata.

Formidabile il modo in cui è descritto il senso di colpa

Il suo senso di colpa era così grande che diventava gravitazionale, curvava il tempo e lo spazio e si collegava tramite una geometria non euclidea al senso di colpa che non aveva provato mentre distruggeva il matrimonio di Charles. Quel senso di colpa che, lungi dal non esistere, era stato invece pre-inoltrato tramite una curvatura spazio-temporale nella Manhattan 2004.

p. 228

O l’essere femminista

Tom era uno strano femminista ibrido, dal comportamento irreprensibile ma concettualmente ostile. «Capisco il femminismo come questione di uguaglianza di diritti, – le aveva detto una volta. – Quello che non capisco è la teoria. Se le donne debbano essere perfettamente uguali agli uomini, oppure diverse e migliori di loro». E aveva riso come rideva delle cose che trovava sciocche, e Leila si era chiusa in un silenzio rabbioso, perché lei era un ibrido nell’altro senso: concettualmente femminista, era tuttavia una di quelle donne che stringono amicizia soprattutto con uomini, cosa che l’aveva sempre aiutata dal punto di vista professionale. Si era sentita denigrata dalla risata di Tom, e da quel giorno erano stati attenti a non discutere più di femminismo.

p. 270-71

La potenza Purity è la brutale sincerità con cui è scritto. Alcune pagine, anzi, interi capitoli sono veri e propri pugni nello stomaco. Non è facile trovare uno scrittore altrettanto spietatamente onesto.

Credo che per i più permalosi di noi, alcuni passaggi potrebbero risultare come sentenze, e forse lo sono davvero.

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Eppure non si riesce a staccare gli occhi dal libro.

Quindi proseguo imperterrita nella lettura, disposta a farmi schiaffeggiare dalle sentenze di Jonathan Franzen. Sarà una forma di masochismo? 

Alla prossima puntata. Posso anticiparvi che si parlerà di segreti…